venerdì 19 ottobre 2018
GUARDIA DI FINANZA BOLOGNA: Operazione “Chinese Boxes”
Scoperta frode fiscale operata con fatture false per 12 milioni di
euro. Tratti in arresto due imprenditori cinesi, sequestrati beni
per circa 2 milioni di euro.
Nei giorni scorsi la Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Bologna, ha eseguito
l’ordinanza, emessa dal GIP del locale Tribunale, dott.ssa Rossella MATERIA su richiesta
del Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Marco FORTE, di custodia cautelare in
carcere di due imprenditori di etnia cinesi (coniugi di 48 e 49 anni, residenti in bologna),
e la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali per
mesi 12 a carico di altri cinque imprenditori sempre di etnia cinese, oltre all’applicazione
del divieto temporaneo di esercitare attività professionali per mesi 9 nei confronti di tre
cittadini italiani (tutti residenti nel bolognese) che operavano quali commercialisti con
ruolo d’intermediari nella presentazione delle dichiarazioni dei redditi per le società gestite
dai cittadini asiatici.
Sono state effettuate numerose perquisizioni nei confronti dei 27 indagati per i reati di
associazione a delinquere finalizzata ad una i serie di delitti di natura fiscale, oltre che
riciclaggio, auto riciclaggio ed intestazione fittizia di beni, con esecuzione di sequestri
preventivi, finalizzati alla confisca, di beni mobili ed immobili degli indagati per un
controvalore di 2 milioni di euro.
L’operazione, che ha permesso di smascherare un’ingente frode fiscale, prende le mosse da
una verifica operata da parte delle fiamme gialle del II Gruppo di Bologna nei confronti di una
società con sede in Calderara di Reno (BO) - operante nel settore del confezionamento di
capi di vestiario ed amministrata da un cittadino di origine cinese, da cui è scaturita l’indagine
di polizia giudiziaria coordinata dalla locale Procura della Repubblica.
Nel corso delle indagini, venivano acquisiti diversi indizi che facevano ritenere come
l’amministratore della società verificata fosse un semplice prestanome e che i reali dominus
della stessa erano effettivamente due coniugi cinesi titolari di un’ulteriore società, proprietaria
della struttura (capannone) nonché dei macchinari utilizzati per l’attività produttiva.
Dall’approfondimento delle investigazioni emergeva, infatti, uno scenario particolarmente
complesso ed articolato che ha visto il continuo susseguirsi, nel corso degli ultimi anni, di aperture e chiusure di imprese operanti nella medesima sede, tutte collegate da un unico filo
conduttore.
In particolare, emergeva che sin dal 2010, la società dei due coniugi avesse, solo
formalmente, affittato in maniera sistematica l’immobile ed i macchinari ad una molteplicità
di imprese tutte gestite da soggetti cinesi e tutte caratterizzate dal medesimo modus
operandi:
• iniziare e cessare la produzione generalmente nell’arco di un anno o poco più;
• assumere fittiziamente come dipendenti i titolari della società proprietaria dell’immobile;
• registrare costi per prestazioni di terzi per un importo quasi pari a quello delle vendite,
nonostante il fatto che il confezionamento dei capi di vestiario venisse svolto direttamente
dal personale dipendente;
• omettere sistematicamente il pagamento delle imposte sui redditi e dell’IVA.
Si svelava, quindi, un’ingente frode fiscale tramite l’utilizzo di fatture false per 12 milioni di
euro, attuata attraverso l’intestazione fittizia delle società coinvolte a delle “teste di legno”,
con il preciso intento di sollevarsi da responsabilità dirette e, quindi, non incorrere in sanzioni
penali e/o amministrative, derivanti dalle dichiarazioni fraudolente e dal conseguente omesso
versamento dei tributi.
Con il preciso intento di consolidare l’ipotesi formulata e addivenire ad un quadro probatorio
stringente, nei mesi scorsi sono state svolte ulteriori investigazioni condotte anche con
operazioni tecniche di polizia, che hanno permesso di acquisire indizi incontrovertibili in
ordine alla riconducibilità ai due coniugi cinesi della titolarità di fatto di tutte le aziende
implicate, dal momento che è stato accertato come tutte le iniziative aziendali dovessero
passare al loro vaglio (dai rapporti con i fornitori e clienti a quelli con le banche fino
all’assunzione dei dipendenti).
L’ingente sequestro operato dalla Guardia di Finanza tutela il rientro delle somme evase nelle
casse dello Stato, poichè nel corso delle indagini era emerso che, dopo la chiusura della
prima verifica fiscale, i coniugi cinesi avevano compiuto una serie di operazioni immobiliari
per spogliarsi dei propri beni intestandoli in maniera simulata a parenti e soggetti terzi,
nonché a società di comodo, a loro direttamente riconducibili, ed infine reinvestendo il
medesimo denaro in altre società, fittiziamente intestate alla seconda generazione della
famiglia.
In quest’ottica, infatti, si sono mosse le ulteriori fasi dell’attività investigativa, ossia nel
ricostruire i singoli passaggi dei capitali, frutto anche della sleale concorrenza sul mercato e
dello sfruttamento della manodopera dei propri concittadini, consentendo agli indagati, legati
anche da vincoli familiari, non solo di elevare il loro tenore di vita, ma permettendogli
soprattutto un maggior potere di acquisto e d’investimento in altre attività commerciali, come
l’apertura di uno dei più grandi ristoranti di cucina asiatica presente sul territorio
felsineo, di cui alcune quote sono state sequestrate e affidate amministrazione
giudiziale, in quanto creato con il medesimo denaro sottratto all’Erario.
Nell’ambito dell’operazione, che vede il suo epilogo con l’applicazione delle undici misure
cautelari, le fiamme gialle felsinee, hanno provveduto a disarticolare il sodalizio criminale di etnia cinese che si reggeva necessariamente sull’ausilio di compiacenti professionisti
italiani che, con il loro indispensabile operato, provvedevano materialmente a costituire una
galassia di ditte e di società, scientemente finalizzate a consentire la reiterazione delle
condotte criminali dei propri clienti; agendo con piena consapevolezza della frode fiscale
commessa dagli stessi, atteso che, quali depositari delle scritture contabili nonché
intermediari abilitati alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi, volutamente
consentivano ed agevolavano le condotte complessivamente contestate utilizzando i
necessari artifizi contabili.
L’operazione sviluppata dalle Fiamme Gialle bolognesi si inquadra nelle rinnovate linee
strategiche dell’azione del Corpo, volte a rafforzare l’azione di contrasto ai fenomeni illeciti
più gravi ed insidiosi, nonché ad incrementare ulteriormente la qualità degli interventi ispettivi,
integrando le funzioni di polizia economico finanziaria con le indagini di polizia giudiziaria e
garantendo il perseguimento degli obiettivi di aggressione dei patrimoni dei soggetti dediti ad
attività criminose, al fine di assicurare l’effettivo recupero delle somme frutto, oggetto o
provento delle condotte illecite.
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